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14 luglio 2010 – Non sono esperte di comunicazione e di pratiche innovative di web marketing, eppure sanno sfruttare al meglio le potenzialità del Web 2.0 e i suoi canali più adeguati (proprio perché non tutti sono adatti a un preciso scopo) per apparire, esprimere capacità e creatività, riferire opinioni, persuadere.

E sono in grado come quasi nessun altro, facendo concorrenza ai VIP ingaggiati come testimonial a suon di lauti cachet, di influenzare e anche suggestionare gli acquisti di ragazze e donne in fatto di prodotti per il maquillage, cura del viso e del corpo, nailart.

Sono le guresse del make-up (o tutorialist di make-up) che popolano YouTube, e spopolano su YouTube, con i loro video tutorial (video per la realizzazione passo a passo di determinate tecniche di trucco, per l’applicazione ottimale di prodotti per la bellezza, per la preparazione di prodotti fai-da-te), video haul (video relativi all’acquisto di prodotti non ancora provati sulla propria pelle e quindi non sottoponibili a recensione), video review (video con recensioni di prodotti testati), video giveaway (video con cessione di premi, nella fattispecie prodotti per il make-up e la cura di viso e corpo, oltre ad accessori di bellezza) con o senza contest (‘concorso’, ‘gara’; nei video, le tutorialist propongono ai fan del loro canale YouTube di indovinare qualcosa o di creare un certo trucco, il cui clip va postato in risposta al contest: chi dà le risposte corrette o chi esegue il migliore make-up viene premiata con la ricompensa in palio. Quando non viene indetto un contest vero e proprio, di norma è sufficiente postare un commento testuale in risposta al video del giveaway e, al termine della data di scadenza fissata, si procede all’estrazione del vincitore mediante il generatore online di numeri casuali Random.org), video tag (ciascun utente realizza un filmato sulla base di una tematica ben precisa. Un esempio di video tag di successo, che gira online instancabilmente da anni, è “What’s in my pursue/bag”, in italiano “Cosa c’è nella mia borsa?”. Facoltativamente, si possono anche taggare alcuni amici, che con molta probabilità parteciperanno anch’essi al video tag postando il loro video, dando così il via a un meccanismo simile a quello meglio conosciuto come catena di Sant’Antonio).

Video in cui visi metà truccati e metà acqua e sapone si trasformano in volti perfettamente imbellettati, in cui il dorso delle mani è impiegato come una tavolozza per mostrare gli swatch dei prodotti (in parole povere, la tradizionale prova colore di un prodotto di make-up prima di essere adoperato sul viso o sul corpo), in cui si passano in rassegna raccolte di pennelli professionali e si insegna a quale tipo di prodotto devono essere abbinati per la stesura, in cui si discute di INCI (“International Nomenclature of Cosmetic Ingredients”, in italiano “Nomenclatura Internazionale degli Ingredienti Cosmetici”, ossia l’etichetta dei prodotti cosmetici), in cui si chiede quali siano i segreti per la perfetta applicazione di una tipologia di prodotto (es. fondotinta con spugnetta, beauty blender, pennello per fondo o pennello kabuki per i fondotinta minerali, eye-liner liquido o in gel o cake eye-liner, illuminante tra occhi e parte superiore degli zigomi, ecc.), in cui si invita una guressa a creare il trucco ispirato a fotografie di VIP per poi poterlo replicare sul proprio viso e così via.

Poiché le guresse del make-up hanno giustamente intuito che YouTube non è il solo canale del web dove creare relazioni one-to-one e one-to-many con altri utenti, è stato un processo spontaneo dare origine a siti personali o siti dedicati al maquillage, blog, forum, pagine personali e fan page in Facebook, account Twitter e MySpace, che avessero come argomento dominante make-up e cura di viso e corpo. Spazi online in cui le guresse, come anche in YouTube del resto, possono approfondire anche altri aspetti della loro vita privata (non è raro che, in un video, una guressa mostri dei fotogrammi in cui si intravede il marito, il figlioletto, il gatto di casa. E questo aiuta a tenere viva la curiosità dei fan) e in cui gli affezionati possono partecipare con commenti di approvazione o disapprovazione (es. “Anche io amo molto l’ombretto X”, “Purtroppo il blush Y a me fa venire antiestetici brufoletti sottopelle”, “Tu e tuo marito formate davvero una bella coppia”, “Tuo figlio è bellissimo”, “Voi donne state sempre a pensare a truccarvi” – commento palesemente maschile), richieste (es. “Dove posso trovare il fondotinta X?”, “Quanto hai pagato il rossetto Y?”, “Dove hai preso quel bellissimo fiore che porti tra i capelli?”, “Come faccio a…”), curiosità addirittura un po’ eccessive (“Sei rientrata dal viaggio in Italia? Cosa ti ha preparato per cena tuo marito?”, “Il gatto si è ripreso dalla bronchite?”) che talvolta arrivano a generare aspetti tragicomici (dimostrazione di quanto detto finora emerge dai video “Le mie 5 domande preferite”, “Le mie nuove domande preferite” e “Un anno di YouTube” dell’esuberante make-up artist Giuliana, alias Makeupdelight2009 in YouTube).

Il fenomeno non è soltanto contenuto nel web, dove si già compie nella sua completezza, ma esce dai confini di schermo, tastiera, webcam e ADSL per spostarsi nelle strade dove ci si dà appuntamento per i raduni, nei bar dove si consuma qualcosa per rilassarsi e chiacchierare dopo l’esperienza collettiva di shopping nei negozi monomarca o multimarca e nei reparti profumeria dei grandi magazzini. Le relazioni tra utenti si trasformano e divengono relazioni vere, reali, non mediate dal computer (es. intervista del TG1 e intervista del TG2 a ClioMakeUp, Makeupdelight2009 alla M∙A∙C di Catania, incontro a Milano tra appassionate di make-up).

Naturalmente il fenomeno guresse e smodate fan del make-up non è solo italiano, bensì mondiale.

Tra le autorità straniere del settore occorre menzionare per prima la giovane e trasformista make-up artist americana di origine vietnamita Michelle Phan, la quale ha saputo già guadagnarsi una pagina in Wikipedia poiché il suo canale spicca sempre tra quelli con più iscritti (a oggi sono oltre 805.000, potendo vantare più di 30 milioni di visualizzazioni canale e più di 190 milioni di visualizzazioni totali caricamenti). Michelle Phan ha creato un’azienda cosmetica (IQQU Beauty International) e recentemente è divenuta portavoce e tutorialist di Lancôme. Michelle Phan online: sito personale, Facebook, Twitter, MySpace.

Seguono la statunitense juicystar07, appassionata di bellezza (non è una make-up artist) e moda; l’inglese panacea81, la classica “ragazza della porta accanto” dalla pronuncia britannica tipica del Regno Unito nord-orientale e che ha al suo attivo due pubblicazioni editoriali come unica autrice (“Lauren Luke” e “Lauren Luke Looks: 25 Celebrity and Everyday Makeup Tutorials”) e una linea cosmetica che porta il suo nome (Lauren Luke’s Official Cosmetics); l’inglese, ma dalle evidenti origini asiatiche, bubzbeauty, che per certi versi ricorda (o imita?) Michelle Phan. Seguono AllThatGlitters21; kandeejohnson; fafinettex3; MakeupGeekTV; julieg713; MakeupByTiffanyD; pursebuzz; DulceCandy87; MissChievous.

Anche alcune guresse italiane si distinguono, sempre per numero di iscritti, visualizzazioni canale e visualizzazioni totali caricamenti del canale YouTube.

ClioMakeUp (Clio Zammatteo) è una make-up artist bellunese a Brooklyn, autrice del libro “Clio Makeup” edito da Rizzoli e recentemente tutorialist-testimonial di PUPA, azienda che ha pensato bene di attuare un’azzeccata manovra di marketing richiedendo la collaborazione della guressa italiana del make-up più famosa. Clio è stata anche ospite di alcune trasmissioni televisive. Clio online: sito personale, forum, Facebook, Flickr.

Makeupdelight2009 (Giuliana Arcarese), anch’essa make-up artist italiana che vive negli Stati Uniti, gestisce anche un canale sul make-up in lingua inglese (GiulianaMUA) e talvolta appare su importanti riviste femminili (es. ELLE) che si interessano alla sua attività di guressa. Giuliana online: Facebook, forum, Twitter.

Altre ragazze molto seguite, sebbene non professioniste del make-up, sono MisStrawberryFields, chienkiri, LaCindina, KissAndMakeup01, AlicelikeAudrey, bluebeam310, carletta22.

Le guresse del make-up non sono solo fonte di ispirazione per trucchi per ogni occasione del giorno e della sera. Sono altresì modelli da imitare da parte di migliaia di ragazze e donne le quali con il make-up talvolta non se la cavano neppure tanto bene (darkstarwithoutsky è tra gli esempi più eclatanti in quanto ad approssimazione e imprecisione, basti vedere il video “Trucco verde”, così come sono inevitabili le parodie, come “Karina ti fa carina!”) ma che sono ottime recensitrici di prodotti, come del resto lo è ognuno di noi quando formula un giudizio personale rispetto a un articolo comprato e utilizzato.

Guresse e semplici ‘addicted’ del make-up in YouTube, così come le recensitrici occasionali su portali come Ciao.it, Yahoo! Answers e similari, si possono a pieno diritto identificare con la figura del prosumer (‘consumer’, ‘consumatore’ e ‘producer’, produttore’, sottinteso di argomentazioni informative). Contemporaneamente ricoprono sia il ruolo di opinion maker, perché sviluppano e diffondono il proprio parere all’interno di un gruppo di interesse, sia quello di opinion leader tramite il potere di convincimento dei loro giudizi sui prodotti, come se i video mettessero in atto una specie di passaparola tra utenti secondo cui un prodotto sarebbe valido o meno. Inoltre tutte le guresse e le appassionate di trucco più accreditate, proprio in virtù della preminenza riconosciuta dai fan, sono opinion leader nel senso più pieno della locuzione, perché, da una parte, le lezioni online suggeriscono le tendenze del make-up al pubblico di fan che ispirano mescolando sapientemente tecniche, colori e texture, dall’altra, con i video review, orientano gli acquisti di prodotti per il make-up, per corpo e viso e di accessori per la bellezza come beauty-case e valigie/trolley per il make-up, contenitori e cassettiere in cui stipare i trucchi (uno degli oggetti attualmente più desiderati è la cassettiera MALM di IKEA).

Prosumer, opinion maker ed eventualmente opinion leader sono ruoli che gli utenti del Web 2.0 impersonificano grazie a social network, blog, forum, tutti quegli spazi in cui è possibile condividere informazioni online insomma, emettendo messaggi inediti e non convenzionali e che raggiungono un’ampia audience, spontaneamente segmentata in target, assai interessata a un preciso ventaglio di contenuti e, com’è il caso del mondo della cosmesi, di prodotti.

Oltre a ciò, guresse e patite del make-up esplicano altresì attività connesse alla brand image perché, a seguito delle campagne pubblicitarie delle case cosmetiche per promuovere nuove collezioni per il maquillage e linee per la cura di viso e corpo, in qualità di consumatrici esprimono l’idea che si fanno di un prodotto.

Tante aziende cosmetiche invitano le guresse a fare recensioni di prodotti, che inviano loro gratuitamente, e a servirsene nei tutorial. In tutta risposta, solitamente le guresse dichiarano di volere manifestare l’opinione più sincera, anche se negativa, perché affermare che un prodotto è valido (es. ha lunga durata una volta applicato, ha una buona tenuta, è estremamente pigmentato e scrivente, il sistema di erogazione è ottimale, ecc.) quando ciò non corrisponde a verità danneggerebbe la reputazione e la credibilità, con conseguente, potenziale perdita di iscritti al canale YouTube.

Non potremo mai sapere se una guressa ha ceduto o cederà a eventuali lusinghe pecuniarie da parte dei committenti. Sta di fatto che alcune case cosmetiche cedono di fronte a tali condizioni ma altre no, perché il giudizio di una consumatrice di eccezione (e i pareri di più consumatrici in risposta al video review) sono assai preziosi per migliorare i prodotti. Sono aziende che hanno compreso l’importanza della valorizzazione dell’attività dei prosumer per offrire al target ciò che desidera, andare incontro alle aspettative e soddisfare i bisogni in ottica outside-in (o pull, per “capire il mercato” secondo una prospettiva proattiva anziché push e “spingere sul mercato”) del consumatore, sempre più informato e consapevole grazie al flusso di informazioni mediante il web.

È pur vero che online le cosiddette ‘bufale’ si diffondono con una certa facilità.
È di questi giorni l’articolo “Leggende metropolitane sui cosmetici: ecco come nascono in rete” in Corriere.it. Alcune tra le più celebri leggende metropolitane sono prese in esame da Il Disinformatico di Paolo Attivissimo, come per esempio “Antibufala: allarme per il piombo nei rossetti”, ma esistono strumenti che accrescono la cognizione dei consumatori più attenti. Tra questi CosIng (Cosmetic Ingredients & Substances; database stabilito dalla Commissione Europea con informazioni sugli ingredienti contenuti nei prodotti cosmetici); Skin Deep (guida ai cosmetici e ai prodotti per l’igiene personale redatta dai ricercatori dell’Environmental Working Group. Il database contiene tutte le sostanze impiegate dalla cosmesi e, a ciascuna sostanza, è attribuito un punteggio variabile sulla base del grado di sicurezza per l’organismo); FDA Cosmetics (“Food and Drug Administration”, “Agenzia per gli Alimenti e i Medicinali”, ente governativo statunitense del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti che si dedica alla regolamentazione dei prodotti per tutelare la salute dei cittadini americani); “Sostanze non ammesse o limitate” del Ministero della Salute italiano, con elenchi, pubblicati in allegato alla Legge 713/86, resi disponibili nella versione costantemente aggiornata e corredata di note esplicative (peccato che l’ultimo aggiornamento risalga però al giugno 2008); Biodizionario (portale moderato dal chimico industriale e consulente Ecolabel Fabrizio Zago e rivolto al consumo consapevole dei prodotti cosmetici, con stime dell’affidabilità delle singole sostanze adottate dalle aziende cosmetiche. Il sito è particolarmente utile a chi desidera curare viso e corpo con prodotti eco-bio e desidera evitare siliconi, derivati del petrolio o determinati composti chimici a cui si è allergici) e siti a questo analoghi, come Sai cosa ti spalmi?, i forum Promiseland (sezione BioDizionario: Cosmetici e prodotti biodegradabili, moderato da Zago di Biodizionario) e L’angolo di Lola.

Parecchie case cosmetiche stanno beneficiando del fenomeno a cui guresse e appassionate del make-up e dei prodotti per la cura del viso e del corpo, tanto premium brand quanto economy brand, hanno dato vita. Tra queste M∙A∙C, Make Up For Ever, Benefit, Illamasqua, Urban Decay, bareMinerals, Dior, Chanel, Shiseido, Yves Saint Laurent, Lancôme, Elizabeth Arden, Estée Lauder, Clinique, Helena Rubinstein, Guerlain, Revlon, L’Oréal, Smashbox, NYX, O∙P∙I, Essence, Sephora, Too Faced, wet N wild, Maybelline, Rimmel, e.l.f., Zoeva, Yves Rocher, Dr. Brandt, Avène, Lush, I Coloniali, Vichy, Olaz, Nivea, Garnier e altre.

Non mancano aziende italiane come KIKO, PUPA, TruccoMinerale, Collistar, Deborah, Madina, Bottega Verde, L’Erbolario, Aquolina, Fitocose.

Con conseguenti vantaggi per le case cosmetiche che praticano e-commerce e vendono i prodotti direttamente dal sito corporate; distributori multimarca in franchising come Sephora, Limoni, Douglas, La Gardenia; distributori monomarca come KIKO e Lush; le profumerie, i supermercati, le farmacie, le parafarmacie e persino i venditori eBay italiani e stranieri.

Per quanto riguarda l’Italia, alcune marche non sono distribuite nel nostro Paese, pertanto si scatena la corsa all’acquisto mediante i siti web delle aziende di cosmesi (laddove ovviamente queste abbiano il sistema di e-commerce attivo e prevedano la spedizione in Italia); si chiede a parenti e amici che hanno programmato un viaggio in un Paese dove una determinata marca è diffusa sul mercato di comprare i prodotti, fornendo loro la classica “lista della spesa”; si fanno ricerche su eBay per trovare venditori che mercanteggino i prodotti tanto agognati.

Talvolta le stesse guresse, le aspiranti guresse e le utenti senza tale velleità sono vere e proprie shopaholic, maniache degli acquisti colpite dalla sindrome da acquisto compulsivo (o shopping compulsivo). Una consumopatia che ha derivazioni indotte sia dalla società  contemporanea sia dai media e i new media. Ovunque le aziende diffondono l’atteggiamento consumistico e la tendenza a incentivare il comportamento d’acquisto, favorendo falsi bisogni che trasfigurano il possesso del prodotto in fonte di felicità personale e di costruzione dell’identità sociale. Inoltre, attraverso il compulsive buying, la psiche di alcuni soggetti li fa illudere di avere necessità – più o meno cosciente – di costruire dall’esterno l’identità personale mediante la proprietà di oggetti specifici con presunte qualità positive e vincenti. I prodotti per la bellezza possiedono le qualità appena descritte, oltre ad avere connotazioni simboliche che soddisfano il cosiddetto comportamento compensatorio, cioè una reazione compiuta per avversare malumore, stress, tensioni psicofisiche, frustrazioni, insicurezze, paure. Come una sorta di catarsi che, passando per il rito dello shopping e del possesso (superfluo) dell’oggetto, fosse magicamente in grado di riempire vuoti di ben altra natura. Senza avere la pretesa di fare un’analisi psicologica delle utenti con la passione per il make-up e la cura di viso e corpo, si vedano video haul e video review di alcune iscritte a YouTube per capire con quanto trasporto emotivo alcune parlano dei prodotti cosmetici acquistati (due esempi su tutti: “Acquisti KIKO col mio Boyfriend, Swatches dei Colour Sphere, Mono e Matite” e “I miei prodotti KIKO preferiti + Cell. nuovo”. Tra le altre, vaxl2007, KissAndMakeup01, carlitadolce, giorgiapril, Lalla88morea).

Si scopre quindi che YouTube è in grado di scatenare persino atteggiamenti di eccessoressia e di oniomania parziali, denominazioni di fenomeni che descrivono la tendenza morbosa a comprare, perché non si può giustificare altrimenti l’attitudine ad acquistare, da parte di alcune, tutti i prodotti di un’intera collezione di make-up ogniqualvolta le case cosmetiche ne immettono di nuove sul mercato. E non è per caso ciò che le aziende di cosmesi (e non solo di cosmesi) desiderano?

Questa lunga disamina del fenomeno delle guresse e delle appassionate di make-up e cura di viso e corpo (attenzione: la grandezza del fenomeno non si limita soltanto agli utenti che postano i video ma si estende anche a quelli che ne usufruiscono in qualità di utenti passivi, con o senza account YouTube) è servita per eviscerare le proprietà del fenomeno in sé. Ma, ora, andiamo oltre.

Come sempre accade quando, all’interno di una comunità con un sovrascopo comune (es. YouTube è la community in cui l’insieme degli utenti prende parte caricando video e/o guardando video di terzi), una quantità copiosa di persone ha un interesse specifico e partecipato (es. YouTube annovera utenti attratti dai prodotti di maquillage e per la cura del viso e del corpo), spontaneamente questa forma un sottoinsieme. Dentro la community, quindi, guresse & Co. costituiscono una sottocommunity. Non è necessaria alcuna strategia peculiare di marketing per suddividere i potenziali clienti in gruppi caratterizzati da bisogni omogenei poiché il campione rappresentativo di un segmento è già precostituito (teenager e donne dai 14 ai 39 anni).

Riprendendo ciò che è stato scritto all’inizio, guresse e appassionate di maquillage e cura di viso e corpo “non sono esperte […] di pratiche innovative di web marketing”, tuttavia il fenomeno che hanno generato ben si presta alla lettura secondo prospettive di marketing e reti sociali.

Il segmento estrapolato da YouTube è assoggettabile all’enterperience (termine formato da ‘entertainment’/’entertaining’ e ‘experience’): il trucco femminile, che ha origini antiche che si perdono nella notte dei tempi, nelle diverse epoche è stato oggetto di evoluzioni fino ai giorni nostri. Rito, consuetudine, abitudine, divertissement sono sostantivi associabili alla pratica del make-up che, parallelamente, equivale alla pervasività del coinvolgimento scaturente dalla sperimentazione personale mediata dai sensi, tanto che il soggetto coinvolto diviene oggetto della sua stessa sperimentazione esperienziale.

Le aziende del settore cosmetico ed estetico più lungimiranti (e, mutatis mutandis, la stessa operazione è effettuabile dalle aziende che si occupano di altri settori di mercato, come hi-tech, moda, fitness, wellness, mondo mamma-bambino, cura e alimentazione di animali domestici, turismo, ecc.) possono facilmente dedurre le strategie di marketing più appropriate per fare web marketing non convenzionale servendosi dei social network per le campagne di social media marketing.

Ciò che è singolare è che gli utenti-consumatori non si rapportano direttamente all’azienda e alle sue promesse pubblicitarie esplicite, ma approdano all’azienda, e quindi ai suoi prodotti, in maniera indiretta e mediata.

È fondamentale sottolineare che il social media marketing più efficace e senza dispersione di costi ed energie non implica la partecipazione indistinta nella totalità dei social network con il maggiore numero di iscritti in un determinato Paese. Ogni social network possiede attributi tali da essere più o meno confacente a particolari strategie e al pubblico di riferimento.

Immettendo nel circuito YouTube, Facebook, Twitter, MySpace, Flickr e/o in altri social network, e poi in siti web, blog, forum ed eventualmente social network creati ad hoc, personaggi chiave del tutto confondibili con la “persona comune” (come “la ragazza della porta accanto” o “l’uomo della strada”) ai quali fornire i prodotti dell’azienda (di cui non si deve assolutamente parlare sempre bene) e quelli di aziende competitor (di cui non si deve assolutamente parlare sempre male), si possono creare sia gruppi sia nicchie interessati a una o più gamme di prodotto. Per mezzo di questi interventi si aumenta il volume delle conversazioni su un dato prodotto, si incrementa la notorietà e la reputazione positiva della marca.

In questo modo, e in un sol colpo, si combinano strategie di:

  • marketing tribale (tribal marketing). Mediante (sotto)comunità già esistenti o nuove, si dà vita al sentimento comunitario degli utenti-consumatori, bisognosi di ristabilire un legame sociale comunitario e che quindi si confrontano e condividono informazioni ed esperienze one-to-one (utente che posta video e che interagisce nei propri spazi dei social network e utente fan che vede video e semmai ne carica di propri, legge post, lascia commenti, risponde ai commenti altrui) e allo stesso tempo one-to-many (utente che interagisce con più fan contemporaneamente);
  • marketing virale (viral marketing). Gli utenti leader trasmettono messaggi a un numero considerevole di utenti finali secondo l’andamento, tanto veloce quanto esponenziale, del passaparola. Gli utenti informati, a loro volta, suggeriscono alla loro cerchia di relazioni amicali e familiari (diversificandoli per interessi, quindi preselezionandoli rispetto a tematiche e a categorie di prodotto) la conoscenza dell’idea;
  • buzz marketing. Da alcune scuole di pensiero sovrapponibile al viral marketing perché correlato al passaparola;
  • marketing relazionale. Una volta che l’utente è diventato cliente, la relazione si valorizza tramite la sua fidelizzazione al brand, che consente peraltro l’analisi delle informazioni via web (e non) dell’acquirente;
  • marketing esperienziale indiretto. L’accostamento tra ‘indiretto’ e ‘marketing esperienziale’ è dovuto al fatto che nei video review e nei video haul la vera e propria esperienza di entrare in contatto con il prodotto è fatta dall’utente che registra e carica il video, il quale trasferisce la propria esperienza all’utente che guarda il video. Il quale, a sua volta, vive indirettamente le percezioni trasmessegli grazie alla visualizzazione del packaging e delle caratteristiche del prodotto di make-up o per la cura del viso e del corpo, come consistenza, profumazione, persino gusto nel caso di gloss e rossetti. Sono così innescate sensazioni che, in maniera riflessa, coinvolgono rispettivamente la vista, il tatto, l’olfatto e il gusto. Oltre alla stimolazione dei sensi, si colpisce fortemente la sfera emozionale e immaginifica dell’utente finale, ancora più conquistato dal senso di possesso del prodotto (naturalmente se il giudizio è positivo) quando questo è adoperato per i video tutorial, in cui l’esperienza dell’uso del prodotto si attua nella sua forma più piena e si completa.

Per conseguire vantaggi competitivi rispetto ai concorrenti, per comunicare con estrema naturalezza con il segmento di target che si desidera raggiungere e attrarre, per una serie di altre variabili complesse quanto delicate, è fondamentale attuare campagne di social media marketing assegnandole a risorse umane molto preparate, perché l’improvvisazione in questi casi non giova e, anzi, è una minaccia che può ritorcersi gravemente e irrimediabilmente contro l’azienda, la marca e il brand: provate a pensare cosa accadrebbe se gli utenti finali avessero il sospetto che i video di una guressa o di un’appassionata di make-up e di prodotti per viso e corpo fossero manovrati da un’azienda (esistono casi d’eccezione, come quello di Michelle Phan, la quale però dichiara esplicitamente di essere divenuta portavoce e tutorialist di Lancôme. Stesso discorso per ClioMakeUp, tutorialist di PUPA).

Nel caso in cui non si disponga né si voglia assumere personale specializzato in social media marketing, è bene rivolgersi a un consulente in outsourcing, che vi prospetterà bozze di strategie e preventivi, evidenziando come una campagna di social media marketing abbia un rapporto costo-beneficio di gran lunga più vantaggioso rispetto a strategie di marketing e di pubblicità tradizionali. In questo posso aiutarti a costruire il progetto su misura per te.

Quando si parla di social media marketing e Web 2.0 in generale, non tutte le aziende hanno ben chiaro di cosa si tratta. Non rinunciare a comprendere e approfondire perché equivale a rifiutare a priori nuove e importanti opportunità per il business.

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